Il problema è davvero se Letta va a Sochi?

Il problema è davvero se Letta va a Sochi?

Siamo sicuri che abbia senso la polemica sulla presenza di Enrico Letta a Sochi? Certo, se pensiamo alle leggi liberticide e omofobe, il nostro istinto sarebbe di non andare, come non vanno Barack Obama, Angela Merkel e François Hollande. Ma siamo sicuri che l’Italia abbia oggi lo stesso rango di questi paesi e la stessa credibilità?

Temo purtroppo che non sia così.

Gli Stati Uniti sono ancora la prima potenza mondiale, e la Francia, ridimensionata dai tempi di De Gaulle, può comunque rivendicare – anche all’epoca dei Sarkozy e degli Hollande – la presenza in prima linea quando si tratta di diritti umani e autodeterminazione dei popoli. Talvolta sbagliando. Ma intervenendo in Mali, in Centrafrica, in Libia, e persino rivendicando, alcuni mesi fa, l’opportunità di un attacco in Siria. Per non parlare della Germania, che con la Russia tratta da pari a pari sui gasdotti, sull’influenza nell’Europa orientale e su tutti i dossier energetici.

Spiace dirlo, ma l’Italia non ha una forza negoziale lontanamente paragonabile. E – fatemelo dire! – non è neanche così all’altezza di dare lezioni sui diritti umani: ci ricordiamo le condizioni delle nostre carceri, dei nostri CIE, e il fatto che nel nostro paese non abbiamo neanche uno straccio di legge contro l’omofobia e sulle unioni civili?

Più che occuparsi della delegazione italiana a Sochi, la nostra classe politica dovrebbe lavorare a ricostruire – come in parte sta già avvenendo – una sua reputazione più solida e una nostra politica estera seria, coerente e riconoscibile.

Ps. Rimane aperto il dibattito su un punto: è meglio parlare con Putin dei diritti umani o protestare in absentia? Secondo me dovremmo prima di tutto capire che cosa è la Russia, e che cosa rappresenta Putin. É odioso pensare che in Russia siano conculcati i diritti umani e civili, e compresse le libertà individuali. Ma ci sarà un motivo se Vladimir Vladimirovic rimane amatissimo, nonostante la scarsa democrazia e il calo della crescita economica. C’è un libro fondamentale per capire cosa ha significato la fine del comunismo per la grandissima maggioranza dei russi: “Limonov” di Emmanuel Carrère. Scrive Putin, citato in epigrafe: “Chi vuole restaurare il comunismo è senza cervello. Chi non lo rimpiange è senza cuore“.

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