Un agnello ci salverà dal riscaldamento climatico?

Un agnello ci salverà dal riscaldamento climatico?

Un agnello ci salverà? Forse.

In questi giorni tutti parlano dell’ultimo rapporto dell'”Intergovernamental Panel on Climate Change” (IPCC), il gruppo scientifico costituito nel 1988 da varie agenzie internazionali che si occupano di riscaldamento globale. A questo testo hanno contribuito 200 autori principali, circa 600 collaboratori, 50 curatori e 1500 revisori tra i più quotati nella comunità scientifica. Nella sostanza, tutte queste teste hanno confermato quello che già sappiamo: che l’effetto-serra esiste davvero! Non sono dunque credibili i “benaltristi”, quanti ci spiegano che i cicli climatici sono millenari e che l’Uomo non può farci nulla se non pregare, chi ci crede.

Il rapporto ci spiega che la situazione è grave, e che se non vi mettiamo riparo entro il 2030 rischiamo di pensarci quando sarà troppo tardi.

Politicamente, il problema è enorme. I paesi emergenti (Cina, India, Brasile, ecc.) pensano di avere diritto alla loro epoca di inquinamento. Come noi abbiamo inquinato per decenni in cambio di un rapido sviluppo ritengono di poter aspirare al loro posto al sole. Non hanno nemmeno tutti i torti, se ci pensiamo. Contemporaneamente, l’Occidente già ricco prova a ridurre i suoi comportamenti nocivi ma lo fa con poca forza e ancora minore convinzione, travolto com’è dalla Grande Crisi.

Come ha scritto Barbara Spinelli, la crisi ha oscurato il tema ambientale ponendo con urgenza il bisogno di tutelare altri diritti minacciati (welfare, lavoro, futuro). Citando Hans Jonas – un filosofo a cui ho scelto di dedicare l’associazione che presiedo – Spinelli fa notare come l’ambiente sia ormai relegato tra le preoccupazioni lontane e dunque meno pressanti.

Proprio questa condizione rende meno credibili le nostre pressioni sui paesi emergenti.

Ma la salute del pianeta è un problema di essere umano, indipendentemente dalle posizioni del suo governo.

Ecco perché dobbiamo interrogarci anche sui nostri comportamenti individuali. Prendiamo il consumo di carne. Nel 2008 Rajendra Pachauri, presidente dell’IPCC, presentava il documento “Riscaldamento globale: l’impatto sui cambiamenti climatici della produzione e del consumo di carne”. Vi si leggeva che la carne ha costi ambientali altissimi – fatto peraltro noto – e che il settore zootecnico occupa il 30% delle terre emerse e il 70% di quelle agricole. Senza parlare delle condizioni degli animali negli allevamenti intensivi.

Secondo alcuni studiosi gli allevamenti inquinano più di automobili e mezzi di trasporto.

In ogni caso, mangiare troppa carne fa sicuramente male. Su questo sono tutti d’accordo. Basterebbe ridurne il consumo per stare meglio e rallentare l’effetto-serra. Non diventare vegetariani, ma consumatore consapevoli: privilegiando la carne davvero biologica, evitando carne di pessima qualità che proviene da allevamenti inumani e tremendi e riducendo la quantità.

Ed evitando le mattanze inutili. Come quella degli agnellini a Pasqua. Che bisogno abbiamo di ucciderne un numero esorbitante, per poi far mangiare al massimo due persone ogni animale? Cambiamo menù. Se non vogliamo farlo per loro, facciamolo per noi. Un agnello ci salverà.

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