In difesa della Germania

In difesa della Germania

Sono in debito con la Germania.

Dopo aver studiato per anni il tedesco e trascorso varie estati in paesini sperduti della campagna bavarese o prussiana, nel 2004 salpai per il mio Erasmus a Dresda. Poco prima dell’arrivo la NPD, il partito neo-nazista, ebbe una grande affermazione elettorale, proprio a ridosso dell’allargamento a Est dell’Unione europea, che sarebbe avvenuta di lì a poco. Quel successo nelle urne pareva un presagio sinistro sulla possibilità di unire davvero Ovest ed Est, dopo aver riunificato la Germania. Da Dresda, in un’ora si era in Repubblica ceca (ci andavamo a fare la spesa), con due ore si andava in Polonia.

Condizionato dalla memoria della Shoah e dalla NPD, trascorsi i mesi (meravigliosi) del mio Erasmus senza parlare del mio ebraismo con nuovi amici e conoscenti. Poi descrissi questa strana situazione in alcuni articoli. Più il tempo passava e più mi sentivo ingiusto, perché ciò che vedevo e le persone che incontravo non meritavano la mia diffidenza.

Per riparare a quella puerile ingiustizia personale, vorrei – nel mio piccolissimo – prendere le difese della Germania, attaccata in questa campagna elettorale e fraintesa nel dibattito pubblico di questi anni (sui manifesti del redivivo IDV campeggia lo slogan: “Europei, non tedeschi”).

Si è scritto che la Germania sarà sempre troppo forte per i suoi vicini, ma troppo debole per essere egemonica nel continente. Angelo Bolaffi ha dedicato un libretto utilissimo (“Cuore tedesco“, Donzelli editore) ai rapporti tra la Germania e gli altri paesi, a quello con l’Italia, all’evoluzione della società e del sistema istituzionale tedesco. La maggiore stazza attribuisce effettivamente alla Germania una responsabilità maggiore, non sempre esercitata. Questo è l’errore della Germania – parzialmente lenito da alcuni impegni presi da Merkel negli ultimi mesi – che deve tutelare il sistema Europa per tutelare se stessa, e non può farlo umiliando e impoverendo gli altri popoli dell’Unione.

Detto ciò, vogliamo renderci conto di come la Germania è arrivata fin qui?

Nei primi anni 2000 ha varato una serie di riforme dolorose e complesse del proprio stato sociale, che oggi le consentono di avere un’economia competitiva su scala globale; ha condotto in porto una riunificazione epocale tra Est e Ovest – avversata in principio da buona parte della classe dirigente europea – in meno di due decenni, e non serve essere impietosi per fare confronti con la nostra questione meridionale, ben più datata; ha fatto i conti con la propria storia, mettendo le proprie colpe inaudite alla base morale e culturale dalla società e delle istituzioni, fino ad accogliere centinaia di migliaia di ebrei dell’Europa orientale come indennizzo per le persecuzioni subite dai loro antenati; ha ricostruito una propria identità nazionale moderna (post-tedesca, secondo Bolaffi) sulle ceneri del modello prussiano, hitleriano e anche di quello forgiato dalla guerra fredda. Ciò che a ben vedere non è riuscito all’Italia.

Infine, la Germania è l’Europa per tutti i popoli, e sono tanti, che stanno all’Est e oggi sono sempre più contesi tra l’appartenenza europea e quella slava (russa). Se non vogliamo tante Ucraine, è da Berlino che bisogna passare, auspicando che i tedeschi si assumano le loro responsabilità.

Insomma, davvero pensiamo di poter fare le pulci alla Germania? Davvero pensiamo di stornare le nostre responsabilità prendendocela con l’euro e la burocrazia europea? Può anche darsi che partire dalla moneta sia stato un errore, perché senza politica l’economia non basta. Può anche darsi che per l’Italia il mito della stabilità (valutaria e politica) fosse una chimera non desiderabile. Ma volere per questo negare che paghiamo per errori nostri (se preferite, delle nostre classi dirigenti) e accusare i tedeschi ricorda il “Non abbiamo vinto, ma siamo arrivati primi”.

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