Di fronte alla tragedia delittuosa di Bruxelles, è difficile mantenersi razionali e rifuggire banalità e luoghi comuni.
Per provarci, serve porsi le domande giuste e provare a rispondere con sincerità.
A me ne vengono quattro. Perché ieri? Perché Bruxelles? Perché l’Europa? Perché gli ebrei?
1) La coincidenza con le elezioni europee è evidente. Sei anni dopo l’inizio della Grande Crisi questa consultazione è un tornante decisivo, la trincea finale tra chi crede nel progetto di integrazione e chi lo vuole distruggere, rifugiandosi tra confini nazionali, culturali, identitari e religiosi. Questa sera conosceremo i risultati del voto, ma già possiamo prevedere che l’affermazione delle forze antisistema, populiste e razziste sarà assai importante.
Gad Lerner ha fatto notare la seconda coincidenza, quella con il viaggio di papa Bergoglio in Medioriente. Non so se nella testa degli attentatori si volesse condizionare il pontefice, ma ormai è inevitabile che questa influenza in qualche modo vi sia.
2) Bruxelles è la capitale politica e istituzionale dell’Europa. Colpire il cuore del continente significa colpire l’Occidente ma, purtroppo, il tallone d’Achille dell’Occidente. I nostri paesi attraversano una crisi più profonda degli USA, si mostrano divisi sulle questioni fondamentali e, soprattutto, perdono rilevanza sullo scacchiere internazionale. Vale sempre, a titolo di sintesi, la ben nota proporzione: 7% della popolazione, 25% della ricchezza, 50% della spesa sociale. Sono numeri destinati a scendere e ad acuire la crisi d’identità dell’Europa, impaurita dall’invasione degli immigrati ma consapevole di non essere più in alcun modo autosufficiente. Sempre che si voglia ragionare e non solo strepitare.
3) Non ci sorprende la morte di centinaia di innocenti in Africa o in Asia per mano dei vari fanatismi, ma ci sorprendiamo se questo accade nelle nostre città. Oggi a Bruxelles, tre anni fa a Tolosa, nel 2005 a Londra e prima ancora a Madrid. Speravamo che la disastrosa guerra condotta da George W. Bush e dai suoi alleati occidentali nel primo decennio del millennio avesse almeno reso più difficili gli attacchi terroristici in Occidente, ma questo è vero solo in parte. Se da un lato non ci sono più stati attacchi in grande stile – D-o ce ne scampi e liberi! – possono moltiplicarsi focolai molecolari, incontrollabili, dove il legame tra emarginazione sociale e fondamentalismo risulta più visibile. Cambiano i protagonisti, cambia il profilo delle organizzazioni, non è detto che diminuiscano i pericoli, purtroppo.
4) Gli ebrei sono, come al solito, il compendio delle paure carsiche nell’anima occidentale. Rispetto agli immigrati gli ebrei sono più “mimetizzati”, devianti più che diversi, ed é proprio questo che terrorizza quanti coltivano lo spaventoso e irrealizzabile sogno di un'”Europa agli Europei”, pura e semplice da capire. Gli ebrei sono naturalmente europei, legati ai loro paesi ma vincolati sentimentalmente con Israele e con una comunità policentrica e plurimillenaria. Sono i testimoni di una globalizzazione ante litteram sopravvissuta alla Shoah e alle persecuzioni. Sono il simbolo – loro malgrado – del fallimento dell’intolleranza e di ogni progetto di purificazione della società. In questo senso sono il punto di saldatura tra il fanatismo razzista che riprende vigore in Europa e quello islamico che vorrebbe rigettare in mare Israele e mondare di questa macchia il mondo arabo-musulmano. Senza dimenticare che esiste persino un rapporto stretto tra antisemitismo e islamofobia, perlomeno in alcuni settori e strati delle nostre società.
Come reagire di fronte a tutto questo? Ritengo che innanzitutto non ci sia nulla di ingenuo né sbagliato nel rivendicare la nostra indignazione e sorpresa. Ancora dei morti? Ancora in Europa? Di nuovo gli ebrei? Io voglio continuare a stupirmi che tutto ciò possa accadere. Poi serve combattere. Punire i responsabili e tutti coloro che, esplicitamente o meno, incitano all’odio, all’intolleranza, all’egoismo, alla paura, sia che lo facciano per convenienza sia che lo facciano per sincero fanatismo.
Infine, dobbiamo continuare a essere quello che siamo. Io voglio sentirmi italiano, ebreo, europeo, e ricco di questa complessità. Voglio poter discutere nella società, nella mia comunità, all’interno del mio partito, sempre avversando quelle tendenze alla chiusura, alla paura, al ripiegamento su se stessi. Voglio poter dialogare con chi é diverso da me (giusto l’appello di Marek Alter ai musulmani perché facciano sentire la loro indignazione). Senza paura, dobbiamo rimanere qui e impegnarci a costruire un’Europa migliore.