Nei giorni scorsi l’avvocato Angelo Argento, della Direzione nazionale PD, mi ha sottoposto la bozza di un appello per la “liberazione” del Teatro Valle. Non so che fine farà questo testo, ma è utile fare il punto della situazione.
Il 14 giugno 2011 il Teatro Valle, il più antico e forse il più prestigioso di Roma, viene occupato da un gruppo abbastanza numeroso di attori, artisti, maestranze, simpatizzanti. Si teme – erroneamente – che il teatro possa essere privatizzato a causa della soppressione dell’Ente teatrale italiano (ETI), e dunque decolla questa iniziativa eccezionale.
I primi mesi sono obiettivamente entusiasmanti: nella morta gora alemanniana, la nascita di un polo culturale informale, partecipato, affollato sembra una boccata di ossigeno. Talmente forte è il sollievo per una notizia come questa, tra una Parentopoli e l’altra, che nessuno ha fretta di ragionare. Godiamoci un attimo questa sensazione, ci sarà tempo per studiare le carte.
E così ci si mette in fila per ascoltare Stefano Bollani in concerto, si partecipa alle assemblee per ripristinare (o rimpinguare) il Fondo unico per lo spettacolo, si assiste alle performance di artisti straordinari come Elio Germano e Pierfrancesco Favino, persino all’arrivo di ospiti internazionali. E godiamoci anche – perché no? – quell’ebrezza da rimorchio, del “ci vediamo al Valle”, del “ci prendiamo un bicchiere” e poi vediamo che cosa fanno questa sera. Perché essere forzatamente snob? Un’atmosfera bella e partecipata, tutto qui.
Finisce l’estate 2011 e cominciano i problemi. Gli occupanti litigano, una parte se ne va, le date si diradano, la qualità cala ogni giorno un po’. Certo, rimangono apologeti sparsi nei vari giornali e persino a livello internazionale, ma ci vuole poco per capire che qualcosa non va, che non si può andare avanti così all’infinito. Il Sindaco Gianni Alemanno continua a pagare le bollette e a fare finta di niente: gli ci mancano solo i NOCS dei Carabinieri che fanno irruzione nel teatro! E così i mesi passano, cambia l’Amministrazione, i frequentatori calano.
Nonostante gli sforzi degli occupanti per evitare danneggiamenti – assolutamente encomiabili! – lo spazio avrebbe bisogno di interventi ed entrando si percepisce un certo fetore. Nel frattempo si comincia a ragionare delle soluzioni. Gli occupanti predispongono in modo partecipato lo statuto della “Fondazione Teatro Valle Bene Comune”, il Prefetto di Roma lo boccia. Pare scontato ma non lo è: l‘occupazione illegale non costituisce titolo giuridico per gestire un teatro.
In contemporanea Flavia Barca, allora assessora alla Cultura del Comune di Roma, si intesta un percorso di soluzione condivisa del problema, e nomina persino dei facilitatori nel dialogo tra occupanti e istituzioni comunali. La strada pare troppo bizantina e a molti anche infondata: ma come, il Comune ha bisogno di facilitatori per parlare con gli occupanti (illegali) di una struttura di sua proprietà? Tant’è, Flavia Barca ancora pochi giorni fa rivendica le proprie scelte.
E arriviamo a oggi. Ignazio Marino – che nel frattempo ha nominato, ieri 14 luglio, la nuova assessora: Giovanna Marinelli – propone un bando pubblico internazionale per stabilire chi debba gestire il teatro. Partono subito un appello a favore e uno contro, comme il faut. Qualcuno fa notare che l’idea del bando, formalmente corretta, rischia di essere poco fruibile a causa della legge Bray sullo spettacolo dal vivo e della crisi del teatro italiano. Tutto il dibattito si svolge in un panorama complicato: l’attuale Sindaco, salutato con entusiasmo all’inizio del suo mandato, viene criticato anche per la sua gestione della cultura a Roma. Non solo il j’accuse di Francesco Merlo su “la Repubblica”, ma una sensazione diffusa.
Non basterà certo il Teatro Valle a Roma per tirarsi su il morale. Ma sarebbe un segnale importante, anche per Marino. Serve una soluzione in tempi certi e rapidi. E oggi le due alternative sono: bando pubblico oppure accorpamento del Valle nel Teatro di Roma.
Mi permetto timidamente di avanzare una proposta di compromesso: perché non inserire il Valle nel Teatro di Roma, impegnandosi contestualmente a pubblicare un bando per la gestione di un certo numero di giornate o interi periodi? Questa soluzione consentirebbe di garantire sostenibilità economica al teatro, che rimarrebbe pubblico, permettendo anche la sperimentazione culturale di nuovi linguaggi e di una creatività più underground.
A condizione che tutti facciano uno sforzo di de-ideologizzazione: se infastidisce la parola “mercato”, troviamone un’altra, basta che il tic linguistico non serva a prolungare indebitamente una situazione di prepotenza e illegalità ormai ingiustificabile, che nulla ha a che vedere col “bene comune”. Lo spettacolo del Valle col maxischermo per vedere i Mondiali, dieci euro birra compresa, è davvero intollerabile. Anche per quanti, in questi tre anni, hanno creduto e lavorato nel Valle occupato, mettendoci il cuore.