Lo confesso: questa è stata la mia prima Leopolda. Sarei voluto venire lo scorso anno, ma ero candidato alla segreteria romana del Pd, già nel nome di Matteo Renzi, e correvo da un circolo all’altro. Privato dunque di ogni termine di paragone, eccomi alla volta di questa fantomatica stazione, croce e delizia del recente dibattito pubblico.
Tutti inizia nei giorni precedenti. Racconto a tre amici del mio programma domenicale e ricavo una reazione sbalorditiva: “Che figata! Ti accompagno…”. Proprio sbalorditiva, trattandosi di tre persone del tutto immuni dalla militanza politica. Un imprenditore di Roma, una manager siciliana in un gruppo del lusso Made in Italy, una studentessa romana di Giurisprudenza. Entusiasti di partecipare a una kermesse politica. Un fenomeno che non ho mai registrato in dieci anni di partecipazione politica.
Arriviamo in questo bellissimo posto che è la stazione Leopolda recuperata, a Firenze splende il sole. Accreditarsi è facile. Alle 9.45 riusciamo a entrare nella sala principale ma i posti a sedere sono tutti già occupati. Ci aspettano quattro ore in piedi, mentre la folla aumenta e i volontari della Leopolda insistono per lasciare liberi i corridoi, prima di capitolare rovinosamente di fronte alla reazione energica di due vecchietti fiorentini (“Io dalla sala non me ne vado e sono basso, quindi non posso stare sui lati!”. Che gli vuoi dire?). Gli interventi proseguono e le sale (anche quelle adiacenti) si riempiono a tal punto che i vigili del fuoco chiudono definitivamente gli ingressi. Saranno le 11.30. Piccole postille politiche dalla mia parzialissima prospettiva:
1) La rappresentazione dei due Pd è del tutto artificiale. Per un motivo semplicissimo: la platea della Leopolda e quella dell’Assemblea Pd (l’organo più largo e rappresentativo della “base”) sono perfettamente omogenee. Sarà perché alle ultime primarie Matteo Renzi ebbe un successo larghissimo, ma è proprio così: se non ci fossero i banner leopoldini uno potrebbe tranquillamente pensare di essere all’Assemblea nazionale.
2) Parlando sempre di impressioni, la platea della Leopolda sembra proprio l’Italia degli 80 euro: classe media, quella più tartassata dalla crisi negli ultimi anni, il corpaccione del Paese. Scriveva Alfredo Panzini: “La piccola borghesia, sprezzata da tutti, che serve tutto e tutti”.
3) L’Italia dei mille borghi. Non comandano più le grandi città, che tutto sommato sembrano ridimensionate. Tra piccoli e medi imprenditori, artigiani e classe media la rivoluzione renziana segna anche la rivincita della Provincia, da sempre motore dell’Italia ma spesso trascurata nella rappresentanza politica.
4) Sul palco lo scenario mi sorprende. È possibile che fosse diverso nelle Leopolda precedenti. Si alternano militanti del Pd a imprenditori di varia taglia a ministri e alti dirigenti del partito. Gli interventi sono piddicentrici. Il Pd (della Nazione?) è il “nostro” partito, tanto che Renzi nel suo intervento sente il bisogno di ammiccare ai pochi non iscritti rassicurandoli: sono a casa anche loro. Rispetto alla vecchia kermesse lettiana di “Vedrò” (a porte chiuse), il ruolo del partito è incomparabilmente maggiore, altri rituali sono simili.
5) L’orgoglio leopoldino è temperato. Se Debora Serracchiani si guadagna una standing ovation continuando la polemica con la Bindi, applauditissimo è anche Dario Franceschini, non tanto per le sue indubbie doti di Ministro della Cultura quanto per il tentativo di ricucitura tra la piazza CGIL e la Leopolda. I pochi che citano Davide Serra sul diritto di sciopero battono rapidamente in ritirata, accolti dalla freddezza generale.
6) Nessun complesso da primi della classe. Niente “Noi eravamo qui già nel 2010”. A Gennaro Migliore viene tributata un’accoglienza calorosissima – se ci si pensa persino singolare! – ed è la dimostrazione che i renziani della primissima remano nella stessa direzione del premier: allargare, allargare, allargare.
Conclusione: si respira una bella atmosfera. La Leopolda e il Pd sono già talmente contaminati – sul piano umano, antropologico, politico, esperienziale – che non ha senso raffigurarne la contrapposizione. È davvero un esercizio sterile.
Ciò che semmai potrà essere utile è proseguire il ragionamento sulla forma-partito (mamma mia che espressione vetusta!): detto che il Pd di Renzi proverà a parlare a una fascia di persone che non andrebbero alla Festa dell’Unità ma corrono alla Leopolda (il famoso 41%, la famosa vocazione maggioritaria), questa geografia più articolata potrebbe aver bisogno di un modello organizzativo e di qualche regola. A partire dai finanziamenti: nel momento in cui si chiudono i rubinetti pubblici, è bene stabilire parametri e principi chiari sugli sponsor privati. Tanto più nel caso di un premier-segretario sempre più al centro della scena, in cui moltissimi italiani ripongono grandi speranze.