Un iscritto su cinque è falso, da cacciare a “calci”. Un segmento ampio del partito definito “pericoloso e dannoso”. Un’atmosfera di allarme che si intreccia con le indagini sulla criminalità a Roma e sulle sue infiltrazioni nelle istituzioni. Il clima, di certo, non aiuta una riflessione seria.
Negli ultimi mesi si è proceduto così a Roma: una fiammata dopo l’altra. Scandalo, dopo scandalo. Disagio, dopo disagio. A novembre una settimana di notorietà per Tor Sapienza, in breve diventata uno dei posti più famosi d’Italia. Subito dopo il can-can di Mafia Capitale, con (comprensibile) sgomento mediatico e rimpasto della Giunta. Poi c’è stato l’annuncio di papa Francesco con la proclamazione del Giubileo. E giù tutti a discutere di “cabine di regia” o commissari. Infine, il rapporto di Fabrizio Barca sul Pd della Capitale, condensato sulla carta stampata con un’aggettivazione dalla presa indubbia: “pericoloso e dannoso”.
Questo meccanismo di sostituzione tra lo scandalo precedente e quello successivo non solo rende difficile ragionare, ma non prevede reversibilità o reale risoluzione dei problemi in sospeso. Per esempio, la settimana scorsa a Tor Sapienza hanno ricominciato a bruciare i cassonetti e a trasferire gli stranieri del Centro rifugiati. Ma ormai il momento di questa periferia che costeggia la Prenestina è passato, e quindi chissenefrega.
Quando mi sono candidato alla segreteria del Pd Roma, nell’ottobre 2013, denunciai quello che avevo visto con i miei occhi: tessere gonfiate, circoli fasulli, interessi e correnti. Oggi tutti affermano di aver denunciato, ma io non lo ricordo. In ogni caso, va sottolineato per onestà che il processo di pulizia era già cominciato prima del commissariamento, anche se permaneva uno “spread” tra la velocità del Governo e la lentezza della politica romana.
Se si vuole ricostruire, però, oggi non basta denunciare e scaricarsi la coscienza. Serve soprattutto indicare una rotta, ragionando con calma e lucidità.
Le questioni essenziali sono note ed è utile riassumerle in cinque punti per chiarezza:
1. La Capitale d’Italia deve ritrovare una vocazione in condizioni difficilissime. I soldi non ci sono più, e nel caso di Roma c’è un debito da pagare. Un buco – repetita iuvant – provocato dalla scellerata amministrazione di Gianni Alemanno, attualmente dato per disperso. Qualcuno ha visto recentemente gli esponenti della destra romana?
2. Non è possibile mettere tutti sullo stesso piano. Il Partito democratico è l’unico che sta facendo i conti con i propri limiti ed errori. Come ha giustamente espresso il commissario Matteo Orfini: “Se non riusciamo a essere la soluzione, almeno smettiamo di essere una parte del problema”
3. Una grande capitale ha bisogno di visione. Le città sono la sintesi delle opportunità e dei conflitti, cioè della politica. La ricchezza del XXI secolo sarà sempre più concentrata nelle aree urbane, così come la popolazione mondiale che dal 2008 non risiede più prevalentemente in campagna per la prima volta nella storia dell’umanità. Le società complesse tendono a confluire nelle città e a esprimervi i conflitti sociali, etnici, democratici. La grande sfida è rendere sostenibili questi “mostri” per consentire il benessere delle persone.
4. Roma è sì eccezionale come città, ma non fa eccezione a livello amministrativo. Serve un progetto a medio-lungo termine, una direzione a cui tendere. L’obiettivo olimpico del 2024 e il Giubileo del 2025 possono essere presi come utili pretesti: che Roma costruire da qui a dieci anni? Come potrebbe essere la terza stagione del riformismo romano, dopo le Giunte storiche della sinistra e quelle del “modello-Roma”?
5. Cinque temi meritano un’analisi approfondita e una elaborazione che tenga conto delle buone pratiche a livello nazionale e internazionale: ambiente-rifiuti, urbanistica-trasporti, cultura-turismo, politiche sociali, decentramento e riforma della “macchina”.
Alzare lo sguardo e provare a fissare l’orizzonte non significa in alcun modo disinteressarsi all’amministrazione guidata da Ignazio Marino, che è alle prese con sfide improbe e difficilissime, a partire dalla quotidianità e dal prossimo Giubileo. Guardare il futuro significa dare respiro a questo impegno gravoso e, alla lunga, dargli un significato.