La storia di Angelo Fortunato Formiggini, profeta della Treccani

La storia di Angelo Fortunato Formiggini, profeta della Treccani

Dal 1925 la Treccani ha contribuito allo sviluppo della cultura italiana e a una maggiore e migliore diffusione delle conoscenze e dei saperi nella società. A novant’anni dalla nascita l’Istituto dell’Enciclopedia italiana appare profondamente trasformato, consapevole dei cambiamenti e delle continuità che ha dovuto e che dovrà affrontare. La Treccani è stata permanentemente istituzione culturale e deve riuscire a rimanerlo anche nelle prossime esperienze, continuando a svolgere quella indispensabile funzione di filtro e di validazione delle conoscenze, rappresentando la cultura nazionale nel mondo contemporaneo.

Una mostra al Vittoriano ha recentemente celebrato i sui novant’anni, mettendo in luce la genesi di questo progetto culturale e documentando come le attività scientifiche e editoriali promosse negli anni dall’Istituto abbiano fatto emergere un gruppo di figure di intellettuali impegnato nel fornire nuovi strumenti alla ricerca e allo studio. La mostra ha raccontato come la storia di questa grande istituzione culturale è la storia della cultura italiana, il suo dipanarsi è quello della storia d’Italia nel Novecento.

In questa occasione ci piace però ricordare una vicenda meno conosciuta, quella dell’editore Angelo Fortunato Formiggini, nato a Modena nel 1878 e morto nella sua città, suicida all’indomani delle leggi razziste del 1938. Un piccolo risarcimento postumo che vogliamo offrire a una personalità poliedrica nell’Italia di inizio Novecento, un uomo di cultura che per primo immaginò una grande enciclopedia italiana in diciotto volumi.

Formiggini mostrò fin da giovane curiosità intellettuale e versatilità: tra le collane della sua casa editrice si ricordano gli “Opuscoli di Filosofia e Pedagogia”, i “Profili” di artisti e letterati del passato riletti in una vivace chiave biografica e soprattutto i “Classici del ridere”, che lo stesso Formiggini definì “er mejo figo del mio bigonzo” e che, da Genova dove nel frattempo si era trasferito, garantirono cittadinanza letteraria a opere erroneamente ritenute minori o carnevalesche.

Ebreo, massone e fortemente critico nei confronti del fascismo, non resse psicologicamente il contraccolpo delle leggi razziali: il 29 novembre 1938 si gettò dalla Ghirlandina, la torre del Duomo, schiantandosi sul selciato che lui stesso aveva battezzato “Al tvajol ed Furmajin”, senza rinunciare allo scherzo e alla creatività linguistica neanche negli attimi più drammatici. Si lanciò nel vuoto con le tasche piene di due missive, una per il Re e una per Mussolini, e di soldi, a dimostrazione che non si uccideva per ragioni economiche.

Il suo gesto estremo è ricordato anche per l’orribile commento di Achille Starace, segretario nazionale del Partito Fascista: “È morto proprio come un ebreo: si è buttato da una torre per risparmiare un colpo di pistola”. La saggezza popolare sentenzia “Diamo a Cesare quel che è di Cesare”; e nel Talmud, la summa della tradizione ebraica, si afferma che quando, parlando con sincerità, attribuiamo a qualcuno il merito di un’azione, acceleriamo di un anno l’avvento del Messia. Per questa ragione ci proponiamo, da qui alla fine dell’anno, di organizzare un grande convegno su Angelo Fortunato Formiggini e sul ruolo che ebbe, tra l’altro, come profeta dell’Enciclopedia italiana.

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