Non ci prendiamo in giro sulla distribuzione del Mein Kampf

Non ci prendiamo in giro sulla distribuzione del Mein Kampf

Ciò che colpisce, nella trovata geniale di diffondere oggi il Mein Kampf come allegato a “Il Giornale”, è la povertà culturale, il dilettantismo ostentato ed elevato a modello. Come può, altrimenti, mostrarsi stupito Alessandro Sallusti, direttore della testata, che secondo alcuni cronisti avrebbe dichiarato: “Non lo avessi mai fatto!”? Davvero un’operazione del genere può essere messa in cantiere, nell’Italia del 2016, senza quel minimo di prudenza che ci accompagna quando, ad esempio, afferriamo uno scatolone contrassegnato dalla scritta “Fragile”?

Si sottolinea giustamente che l’introduzione al volume è stata affidata a Francesco Perfetti, uno studioso serio; e di questo non possiamo che rallegrarcene. Allo stesso tempo, c’è chi ipotizza l’aggravante della strumentalità politica: questa diffusione gratuita e improvvisata servirebbe a galvanizzare le frange della destra estrema milanese, utile alla battaglia elettorale di Stefano Parisi (peraltro, da quanto si è visto, un galantuomo).

Il buon Sallusti si difende citando il precedente della Germania, dove il pamphlet hitleriano ha appena goduto di un’edizione critica autorizzata. Siccome però le bugie hanno le gambe corte, e anche l’intelligenza dei lettori va rispettata, vediamo bene che cosa è accaduto nel caso tedesco: il volume in questione, curato dall’Istituto di Storia di Monaco, ha visto la luce alla fine del 2015 e le copie in circolazione sono andate esaurite in poche ore. 2000 pagine e 3600 note al testo rispetto alle poche decine vergate dal capo nazista: un testo scientifico ponderoso progettato per la ricerca e per evitare strumentalizzazioni. L’iniziativa – da subito molto criticata – si era resa necessaria poiché da quest’anno i diritti del libro sono liberi (finora appartenevano allo Stato di Baviera). In altre parole, chiunque può pubblicare il testo in Germania a meno che una nuova legge lo vieti.

Le organizzazioni ebraiche si sono immediatamente dichiarate contrarie, e Ronald Lauder, presidente del Congresso ebraico mondiale, affermò che il Mein Kampf andrebbe lasciato dove merita di stare, nel “gabinetto della storia”. Chi ha difeso l’operazione, invece, non lo ha fatto per condividere le tesi del libro, che rimangono ripugnanti, ma sostenendo che la diffusione clandestina sia più rischiosa di quella controllata e che l’edizione commentata possa essere utile sul piano pedagogico più dell’oblio auspicato.

Se vogliamo, questa riflessione ricorda quella sull’opportunità di istituire il reato di negazionismo, cosa che l’Italia ha fatto proprio la settimana scorsa. Perché è vero che i gruppi neo-nazisti e antisemiti sono ben felici di proliferare nei “gabinetti della storia” schermati dalla retorica dei “vincitori che scrivono la Storia”, e che il divieto acuisce il desiderio. Personalmente, nutro comunque grandi perplessità anche sulla scelta tedesca.

Resta forse un ragionamento da fare, alla base di tutto: nella Germania nel 2016 quattro mila persone corrono in libreria ad acquistare la nuova edizione al prezzo di 59 euro, e altrettanto faranno con le prossime ristampe; pare che alcune copie siano già state rivendute su Ebay per dieci mila euro; nel 2005, in Turchia, una unica edizione fu un enorme successo editoriale; un sacco di copie vengono vendute in Iran, nei paesi arabi, persino in Brasile, e c’è da dubitare che si tratti di legioni di studiosi attenti…

Di fronte a questi dati impressionanti, decine di migliaia di copie distribuite a caso, senza nessuna pedagogia introduttiva, non sembrano proprio un grande contributo culturale allo studio della storia e alla creazione di una memoria condivisa.

Ps: a giudicare dall’apporto che a Roma hanno fornito le candidature di Alessandra Mussolini e Francesco Storace, c’è da dubitare che la pubblicazione porti voti: e questa è, in fondo, una nota di speranza.

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