Il tavolo di Calenda coinvolga tutti i cittadini romani

Il tavolo di Calenda coinvolga tutti i cittadini romani

Tra poche ore si riunisce il tavolo su Roma convocato, ma soprattutto immaginato, dal ministro Carlo Calenda. Un’iniziativa lodevole e inter-istituzionale, che dovrebbe servire a ottimizzare e spendere soldi già stanziati. Fondi europei, regionali, residui di bilancio fino a 2,6 miliardi di euro. In teoria, una montagna di denaro.

L’occasione è però persino più importante. Investire è utile se si ha un’idea della città e del suo sviluppo. Altrimenti, come ha sostenuto lo stesso Calenda, i quattrini si buttano. E infatti le polemiche che ci hanno preceduto vertevano non tanto sull’effettiva disponibilità dei soldi – ci saranno davvero? E come mai nessuno li ha adoperati finora? – quanto piuttosto sui progetti cui destinarli.

Partiamo da un assunto fondamentale. Da cittadino prima ancora che da militante politico mi auguro che l’esperimento abbia successo. Se l’Italia fosse più capace di mettere da parte gli interessi di parte e concentrarsi sull’interesse generale sarebbe un paese migliore. Anche quando si parla della sua capitale. Quindi benissimo il tavolo, la leale collaborazione tra istituzioni di colori diversi e le risorse economiche. Parafrasando il celebre detto anglosassone: “Left or right, my city; left or right, my capital”.

C’è però un problema tecnico: questo tavolo ha pochissimo tempo per lavorare. La legislatura è agli sgoccioli e tutti sanno quanto la continuità delle iniziative pubbliche sia spesso legata alla stabilità politica. Non c’è provvedimento tecnico che sia del tutto immune, purtroppo, dall’intrusione della politica se quest’ultima vuole intromettersi.

Dunque come far funzionare questo organismo? Certamente individuando delle priorità e dando degli indirizzi, in parte già menzionati dalla sindaca Virginia Raggi: mobilità, rifiuti, aziende partecipate, lavoro, sviluppo, riforma amministrativa. Ma non basta. Senza un coinvolgimento vero della città qualunque lavoro, pur impeccabile sul piano tecnico, sarà destinato all’insuccesso.

Se davvero lo Stato dispone di un importo simile, lo si trasformi in un caso di studio per tutto il paese. Roma che per una volta si rivela esempio virtuoso: amministrazioni pubbliche, imprese, università, centri di ricerca, terzo settore e cittadini coinvolti in un grande progetto di partecipazione ed elaborazione condivisa. Gli esperti costruiscano un modello che consenta alle donne e agli uomini di Roma di essere protagonisti, la possibilità di esprimersi sui vari problemi senza che il loro parere sia subito dimenticato; una democrazia dal basso anziché vagheggiare salvifici progetti calati dall’alto.

Esistono esperienze nel mondo che si possono copiare in tal senso. Purché l’obiettivo sia una grande alleanza civica per Roma, trasversale e interclassista, che inizi a immaginare il futuro della capitale d’Italia. Il tavolo sia un utile pretesto, uno spunto da cui partire. Come affermò Theodor Mommsen, conferendo con Quintino Sella: “Roma si governa solo con una grande idea”. Ecco la nostra: un progetto collettivo e partecipato, messo a punto dalle romane e dai romani tutti assieme, ognuno a partire dalla sua competenza. Finalmente.

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