Da pochi giorni è disponibile in libreria il secondo trattato del Talmud, quello di Berachot(“Benedizioni”). I due tomi seguono a un anno e mezzo di distanza la pubblicazione di Rosh Ha-shanà(“Il Capodanno”), e rappresentano quindi la prosecuzione di un imponente lavoro.
Il Talmud è la summa della sapienza ebraica, una sorta di enciclopedia intertestuale che accorpa in un unico testo varie epoche di discussioni rabbiniche, traduzioni e nuove interpretazioni. Un corpus che si snoda verticalmente, lungo l’asse del tempo, e orizzontalmente, lungo l’asse degli argomenti più disparati che vi vengono analizzati, sempre a partire da una citazione biblica.
Questa opera straordinaria può essere considerata il cuore della cultura ebraica, il che spiega perché nel 1553 il cardinale Carafa, poi eletto papa Paolo IV, stabilì di bruciare in Campo de’ Fiori, a Roma, tutte le copie del Talmud allora presenti nello Stato pontificio. Prima di rinchiudere gli ebrei nel Ghetto – cosa che fece egli stesso due anni dopo – l’inquisitore si era quindi impegnato a colpirne l’anima.
Ed è un peccato che la stessa piazza dove fu arso Giordano Bruno, monumento pubblico al libero pensiero, non abbia conservato nella memoria collettiva traccia di questo altro avvenimento cruciale.
In ogni caso il Talmud viene per la prima volta tradotto in italiano. Una novità assoluta nella storia plurimillenaria dell’ebraismo, resa possibile grazie a un importante finanziamento del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca. Ma grazie soprattutto all’idea della professoressa Clelia Piperno, direttrice del “Progetto Talmud“, e al magistero scientifico dei rabbini Riccardo Di Segni e Gianfranco Di Segni, rispettivamente presidente e coordinatore del gruppo di lavoro.
Due caratteristiche ha lo studio di questa opera: innanzitutto, il testo comincia da pagina due, a riaffermare che solo il sapere del Signore è completo, mentre la conoscenza umana rimarrà sempre limitata e da accrescere; e poi è vietato confrontarsi da soli con il testo: occorre sempre essere insieme a un compagno di studio, in modo da poter attivare quel meccanismo di domande e risposte essenziale per la maieutica ebraica.
E quasi a valorizzare questo processo di apprendimento sempre in fieri, Progetto Talmud non è un semplice esercizio di traduzione (che poi semplice non è mai, come spiegava Umberto Eco) e spiegazione. Il Cnr ha sviluppato un apposito software denominato “Traduco”, in grado di frazionare il testo in stringhe più brevi e riconoscerne le formule ripetitive e i contesti d’uso. Grazie alla linguistica computazionale e a un algoritmo, il lavoro dei circa novanta traduttori sparsi tra Italia, Europa, Stati Uniti e Israele è reso più rapido e veloce, e il modello italiano sarà esportato in diversi altri contesti linguistici, paesi dove magari le traduzioni esistono già da secoli.
Questa storia virtuosa mi induce a due riflessioni.
La prima riguarda la società in cui viviamo. Non sono mancate le proteste di chi ritiene eccessivo il dispendio per le casse pubbliche (da quanto so, circa cinque milioni) in un’epoca di crisi economica. La risposta più efficace contro questa obiezione è secondo me la seguente: nel mondo globalizzato occorre investire, se vogliamo davvero un paese multietnico e moderno; un’opportunità come questa, che valorizza il patrimonio culturale di una minoranza nazionale e che al tempo stesso si pone come modello internazionale, è dunque un esempio di soldi ben spesi, destinati a fruttare sul piano materiale e immateriale.
Inoltre, questa storia ci aiuta a ragionare sulle politiche culturali in senso lato. La cultura va sempre immaginata come un sistema integrato, composto da siti turistici e luoghi meno visitati, musei di cassetta e istituzioni periferiche, agenzie formative ed editoria, industria creativa e archivi dimenticati, spettacolo dal vivo, musica e cinema. In questo senso, non è possibile valutare l’impatto positivo di questa operazione fin da ora: l’innesco di rapporti internazionali, nuove metodologie e strumenti, sinergie tra istituti di ricerca e aziende, è un potenziale che si dispiegherà nel tempo.
Per l’ebraismo italiano si tratta di un traguardo tra i più importanti della sua storia. Per la cultura italiana e la società nazionale, una pietra miliare. Al momento risultano pubblicati due trattati, già tradotta e ancora da impaginare circa metà dell’opera, per uno sforzo che si annuncia lungo alcuni anni.
La casa editrice è la storica Giuntina di Firenze, specializzata in libri ebraici e opere mitteleuropee. Un impegno particolare e assai oneroso.
Ogni tanto, possiamo semplicemente dichiararci contenti.