Roma può cambiare con le sue scuole

Roma può cambiare con le sue scuole

Il 26 settembre abbiamo presentato a Roma un’indagine sulla scuola romana, condotta dall’istituto Piepoli e promossa dall’Osservatorio Roma! Puoi dirlo Forte.

Nella ricerca sono presenti due temi: quello principale, oggetto dell’indagine, ovvero la percezione che i genitori e gli studenti romani hanno della scuola (i dati sono comparati con quelli di genitori e studenti di altre capitali d’Europa); e uno di sfondo, evocato dalla ricerca e altrettanto fondamentale, ovvero la città di Roma. Perché questa scelta? L’Osservatorio Roma! Puoi dirlo forte ha l’obiettivo di monitorare gli indicatori della qualità della vita della Capitale, raccogliere dati e tendenze, sviluppare studi e ricerche in grado di delineare i cambiamenti sociali e culturali della comunità cittadina; produrre proposte per un programma di crescita e sviluppo della città. La scuola non era mai entrata nei nostri radar: abbiamo avuto l’occasione per farlo – grazie alla partnership con l’Istituto Piepoli – e abbiamo deciso di approndire questo tema. L’obiettivo che ci siamo dati è stato quello di valutare la condizione degli istituti scolastici per individuarne le eccellenze da cui trarre esempio, come pure i problemi da affrontare e segnalare alle istituzioni, relativamente alla qualità dell’insegnamento, alle strutture scolastiche e alle dinamiche sociali e culturali (la ricerca la trovate qui).

Mettiamo da parte per un secondo i risultati della ricerca – per certi versi sorprendenti – e su cui tornerò. Ma perché parlare della scuola? Perché parlare della scuola a Roma e perché ora? L’esigenza di partire dalla scuola è fortemente connessa allo stato di crisi della nostra città. Un vecchio organizzatore della società civile americana – Saul Alinsky, l’inventore del Community Organizing – avviava il suo lavoro di “sindacalista” dei territori in crisi individuando delle “istituzioni àncora”. Gli scogli ai quali le comunità si aggrappano per mantenere aggregazione sociale – nel suo caso anche i luoghi di culto, le società sportive e tutto quello rappresentava solidità associativa – per ricostruire comunità e reinvestire in progettualità condivisa.

Per i romani – purtroppo, senza che vi sia disegno o strategia – è la stessa cosa. La città si ripiega su se stessa: a partire dalla crisi di Roma Metropolitane, Atac e AMA, una parte cruciale del patrimonio industriale di Roma a cui sono legati i destini della qualità della vita dei romani; oppure osservando come la burocrazia comunale divenga nemico del cittadino (il caso della mancata riapertura dei termini di presentazione dell’Isee presso i Municipi, che costringerà molte famiglie romane a pagare tariffe ingiuste per l’accesso alla mensa dei propri figli); e ancora, l’allarme rifiuti lanciato dai Presidi, che potrebbe portare alla chiusura temporanea di alcune scuole. Una misura che sarebbe inaudita, e che rappresenterebbe l’ennesimo scivolamento verso il basso della città di Roma.

Di fronte a tutto questo, la scuola rimane uno dei pochi e reali presidi istituzionali e di comunità dei territori di questa città martoriata dall’incuria e segnata dalla diseguaglianze, sociali e di accesso a servizi e opportunità. Non è un caso, appunto, che il grido di dolore della città sia rappresentato dalla presa di posizione dei Presidi: se le scuole chiudessero per l’emergenza rifiuti, nessun altro gesto sarebbe altrettanto forte nel dirci che Roma è al collasso.

In questo quadro di crisi permanente, la scuola è un’àncora. La ricerca restituisce una rappresentazione della scuola in chiaro-scuro. Ci sono problemi sulle infrastrutture, sulle mense, sulla manutenzione che le famiglie percepiscono e denunciano, ma c’è anche una grande richiesta di scuola: famiglie e studenti credono nei docenti, chiedono più ore di inglese, informatica ed educazione civica e più attività nelle strutture. Hanno paura che la scuola non dia tutti gli strumenti che servono per entrare nel mondo del lavoro, ne tanto meno credono che essa li sappia formare come cittadini. Mostrano di fidarsi enormemente della scuola, anche se conoscono bene i suoi problemi. Mentre la città “rema contro” – solo un genitore su quattro non usa la macchina per accompagnare i figli a scuola, segno di carenza di servizi grave: su questo sarebbe possibile costruire politiche di sostegno alla mobilità alternativa, rivolte proprio a famiglie e studenti – la scuola rimane presidio territoriale di riferimento.

Un buon motivo per costruire proposte di buon senso che aiutino genitori e studenti. Per esempio, aprire le scuole nel periodo estivo, riempiendole di contenuti e di attività come l’inglese, anche per sostenere le famiglie disagiate per le quali l’estate rappresenta un problema da gestire. Ma è anche un buon motivo per continuare a lavorare sulle scuole romane, sui ragazzi e le ragazze che la vivono – gli stessi che con maturità e fantasia hanno dato vita al Fridays For Future, dimostrando di essere la parte più responsabile di questa città – e sul rapporto di scambio che esiste fra comunità territoriale e istituzione scolastica.

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