Global city: le cinque armi vincenti

Global city: le cinque armi vincenti

Le global cities sono attori sempre più importanti nel mondo contemporaneo. Nodi fondamentali del sistema produttivo globalizzato, hanno un impatto enorme sui processi demografici, climatici, culturali e tecnologici. A loro, come ai centri meno ricchi, è dedicato l’Obiettivo 11 dell’Agenda ONU sullo Sviluppo Sostenibile, che recita: “Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili”.

A ben vedere, le città coprono soltanto il 2% della superficie terrestre, ma l’importanza che assumono va ben oltre le loro dimensioni: in aree urbane vive la metà della popolazione mondiale, che produce il 75% della ricchezza globale, consuma quasi l’80% dell’energia e, al contempo, causa il 60% delle emissioni globali. I numeri sono eloquenti ma non bastano. Lewis Mumford, uno dei più grandi urbanisti del Novecento, tuonava nel 1979: “Lasciate perdere la maledetta auto e costruite città per gli innamorati e per gli amici”. Più modestamente, occorre rendersi conto che il successo di una città dipende da una molteplicità di fattori: l’economia, certamente, ma anche l’inclusione sociale, la qualità della vita, la sostenibilità ambientale, l’efficienza della governance locale, oltre ovviamente al genius loci, il fascino specifico di ogni località. In una parola, dalla sua “energia”

 

L’energia urbana: uno studio sulle cinque dimensioni della città

Proprio a questo concetto ISPI ha recentemente dedicato uno studio per conto della prestigiosa rivista Domus (qui lo studio completo, tuttora inedito nella sua forma integrale: …), che è stato presentato lo scorso ottobre a Milano nel corso di Domusforum.

Innanzitutto, ISPI ha proposto la definizione di cinque tipi di energia: economica, cinetica, ambientale, sociale e attrattiva. Ciascun indice di energia combina quattro variabili, per un totale di venti indicatori diversi. Gli indicatori dell’energia economica definiscono la forza produttiva e il capitale umano di una città; l’indice di energia cinetica si riferisce alla velocità con cui persone e informazioni circolano in una città, così come la sua capacità di fare da hub logistico per il territorio circostante; le quattro variabili dell’energia sociale sintetizzano la capacità di una città di integrare nel tessuto urbano categorie fragili, contenere le diseguaglianze e offrire spazi di espressione democratica; il quarto indice, l’energia attrattiva, misura quanto una città riesce a rendersi “desiderabile” per cittadini, imprese e visitatori; infine, l’indice di energia ambientale fotografa l’impatto ecologico e la sostenibilità di una città.

 

 

 

L’indagine ha preso in esame dieci città, una coppia ciascuna per Africa, Asia, Europa, Nord America e Sud America: Lagos e Johannesburg, Singapore e Shanghai, Milano e Londra, Chicago e Toronto, San Paolo e Buenos Aires. Graficamente, l’energia di ogni città è rappresentata sotto forma di pentagono, in cui ciascun vertice del poliedro rappresenta una delle cinque dimensioni di energia. Maggiore è la superficie coperta dal pentagono, più alta è l’energia totale della città. Più regolare la forma del pentagono, maggiore è l’equilibrio tra le cinque energie.

Nel complesso, le dieci città sembrano divaricarsi nettamente in due gruppi: un primo molto energetico (le quattro europee e nordamericane, insieme a Singapore), con cinque città comprese tra 75% e 70% di energia, e un secondo gruppo, chiuso da Johannesburg in coda alla classifica, a livelli energetici molto più bassi e con maggiori distanze tra i punteggi delle singole città.

 

 

 

 

 

Guardando alla dispersione, che misura la variabilità interna di ciascuna città rispetto alle cinque dimensioni, emerge una figura «a fisarmonica», dove la dispersione è massima nella parte bassa della classifica, si assottiglia al centro e torna ad aumentare per le città di testa: possiamo ipotizzare che le varie energie urbane crescano in modo disordinato e contraddittorio in una prima fase di sviluppo; si stabilizzino poi con assetto economico e trend demografici stabili; infine ricomincino a muoversi, con modalità asincrona, quando una città già «forte» fa il balzo decisivo verso lo stadio di città globale.

 

 

 

Riorganizzando le città in due gruppi in base all’appartenenza o meno a un paese OCSE, Milano, Chicago, Toronto e Londra (le quattro città appartenenti a paesi OCSE) mostrano un pentagono piuttosto regolare e dunque una distribuzione sostanzialmente omogenea tra le cinque energie; ciò si spiega con uno stadio di sviluppo maturo, trend demografici stabili e squilibri sociali “contenuti”. Una condizione certamente positiva.

 

 

Il pentagono che riassume l’energia delle sei città non-OCSE, invece, rispecchia livelli maggiori di squilibrio interno e disomogeneità tra diverse metropoli, tipico di contesti socio-economici in fase di sviluppo. Nella coppia di città sudamericane, Buenos Aires appare per esempio più equilibrata di San Paolo, che però è più forte dal punto di vista economico. Per l’Asia, Singapore e Shangai esibiscono due pentagoni dalla forma simile, sebbene la prima sia complessivamente assai più forte della seconda, che si trova invece ancora nel pieno di una fase di catching-up. I due esempi del continente africano, Lagos e Johannesburg, rivelano enormi contraddizioni e problemi, dovuti certamente alle diseguaglianze sociali e all’aumento esponenziale della popolazione.

Sembra inoltre esistere una correlazione diretta tra demografia ed energia: città troppo popolose assumono tratti proporzionalmente più squilibrati, mentre le città al di sotto dei cinque milioni di abitanti riescono a mantenere una certa armonia nello sviluppo.

 

 

 

 

 

È significativo notare, infine, che le dieci città si distanziano tra loro soprattutto per energia attrattiva (dal 90% di Londra al 2% di Lagos) e sociale (dall’88% di Chicago al 17% di Johannesburg); capacità di attrarre talenti e capitali e di contenere disuguaglianze e tensioni sociali in un contesto democratico sembrano dunque essere le dimensioni che maggiormente determinano la performance relativa di ognuna delle dieci città studiate. Al contrario, i punteggi tendono ad avvicinarsi per quanto riguarda l’energia cinetica e ambientale: è il segno che ambiente e mobilità rimangono le grandi sfide urbane irrisolte e comuni a tutte le città, indipendentemente dal livello di sviluppo.

Milano è prima per energia cinetica (72%) e quinta nella classifica generale (70%). Il capoluogo lombardo presenta inoltre il livello più basso di variabilità interna tra i punteggi: ciò significa che nessuna delle cinque dimensioni di energia analizzate si è sviluppata a discapito delle altre. Il dato è significativo, in quanto sembra confermare che la crescita del contesto urbano di Milano è stata finora piuttosto equilibrata in tutte le sue componenti.

 

 

Le sfide di un mondo sempre più urbanizzato

Prendendo spunto da questa indagine – che evidentemente non rappresenta che un punto di partenza, anche per il campione ridotto preso in esame – possiamo indicare alcune linee di tendenza che influiranno in maniera decisiva sull’avvenire: gli ingredienti che contribuiscono a rendere una metropoli più attrattiva e più giusta saranno determinanti per il successo: democrazia, investimenti nel welfare, riduzione delle disuguaglianze e qualità della vita saranno fondamentali nella competizione globale accesa tra sistemi urbani. D’altra parte, alcuni problemi sembrano accomunare tutte le global city, e precisamente quelli legati all’ambiente e alla mobilità, il che spiega bene la necessità di investire sulle infrastrutture e riconversione ecologica. Per gestire questa complessità crescente, le città dovranno costruire istituzioni e governance efficienti, in grado di interagire e guidare il territorio circostante, che spesso non è compreso nei confini amministrativi ma che è ovviamente parte di un vasto e interconnesso sistema metropolitano. In questo senso, possiamo affermare che le enormi megacity nei paesi in via di sviluppo (sempre più numerose sorgeranno in Africa e in Asia) si troveranno ad affrontare una situazione di partenza svantaggiata: troppi abitanti minano l’equilibrio del sistema urbano e lo rendono inefficace, precario e spesso insicuro. Infine, occorre avanzare una riflessione sui dati: per poter comparare i diversi contesti urbani, e dunque mutuare esempi virtuosi e accrescere il benessere dei cittadini, occorrono misurazioni reperibili e omogenee. In loro assenza, gli amministratori locali operano in condizione di oggettiva carenza informativa. Non ne va solo della capacità di analisi degli studiosi, ma del benessere di circa due terzi degli esseri umani: quelli che nel giro di un paio di decenni abiteranno le città del pianeta.

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