Il mio grido per gli anziani

Il mio grido per gli anziani

In questo momento abbiamo tutti bisogno di buone notizie, e i cattivi pensieri tendiamo a scacciarli via. Ciò detto, sento che sia giusto dire una parola chiara su un tema molto evocato ma poco davvero elaborato: gli anziani. Sì, gli anziani che secondo le statistiche aumentano, che in Italia sono più che negli altri paesi, che sempre più spesso finiscono nelle case di riposo e nelle RSA. Ma anche quelli che badano ai nipoti e spesso fanno quadrare i bilanci delle famiglie. Quelli che stanno morendo per il Coronavirus.

E quelli che poi, così, tanto per essere gentili, ogni tanto raccontiamo che hanno fatto la Storia e sono la memoria eccetera eccetera. Bene, come forse sapete mi capita di parlare con loro da oltre un mese. Sconosciuti, allegri o tristi, simpatici o antipatici. Chiamano la linea telefonica anti-solitudine che insieme ad alcune amiche e amici abbiamo creato e che abbiamo chiamato #iorestoinsieme (0656548370). Quasi ogni giorno, per un paio d’ore, sono stato in ascolto.

E dopo molti giorni, voglio dire tre cose che penso. Non belle.

1) Molte persone sono distrutte o disperate. Forse lo erano anche prima della quarantena, ma questo mese e mezzo è stato devastante. Sono sole, spesso anche se hanno figli e altri parenti. L’idea che mi sono fatto è che anche la nostra retorica sulla “famiglia italiana” andrebbe riconsiderata, o ridimensionata: forse funzionava un tempo, ma adesso molti legami sono spezzati, e non sarà facile ricostruirli. Teniamolo presente, per la fase 2: se vogliamo davvero plasmare una società diversa e migliore, abbandoniamo le narrazioni di comodo, anche su questo argomento.

2) Quando si diventa anziani? In questi giorni da Fiorello in giù tanti hanno ironizzato sul “confine” burocratico di chi non sarebbe potuto uscire di casa nella fase 2. Ma la verità è che mi è capitato di parlare con gente di meno di 60 anni che si considerava anziana e stanca. Non lo avrei mai immaginato. Questo per dire secondo me un fatto: che è molto difficile stabilire per legge quando inizia una stagione della vita, e che questa dipende spessissimo dalle condizioni socio-economiche e culturali. Conosco molti ottuagenari vispi e arzilli come trent’anni fa, ma quando mancano soldi e risorse è più difficile mantenere energia e speranza.

3) Nessuno ci ha chiamato dalle RSA, dunque parlo per ciò che ho letto sui giornali. Ma la strage che abbiamo di fronte è stata descritta con precisione da Luigi Manconi alcuni giorni fa: il nostro modello di sviluppo, che ha umiliato la mia generazione e quella successiva regalandoci precariato e miseria, ci ha invece abbuffato di ideologia giovanilistica, quella per cui tutti dovevamo essere belli-palestrati-magri-muscolosi e pronti per il selfie. E in questa sub-cultura gli anziani rappresentano, semplicemente, uno scarto. Altro che memoria e radici. Ed è una vergogna assoluta, a cui molti commentatori hanno preso parte nelle ultime otto settimane, minimizzando i rischi del COVID.

Infine, devo anche confessare un mio errore di valutazione. Per molti anni ho sostenuto e scritto che le case di riposo non andassero condannate, ma ripensate. Alla luce delle esperienze di altri paesi, sottolineavo una contraddizione: per quale motivo in Italia il benessere dell’anziano deve coincidere con la sua solitudine, associata a quello della sua o del suo badante? Per quale motivo se sei vecchio e ricco hai “diritto” a restare a casa tua senza uscire mai, mentre se sei “povero” magari vai al centro anziani a giocare a carte? Perché non progettare luoghi per anziani che siano anche occasioni di socialità, tra anziani ma anche tra generazioni? Luoghi allegri e belli?

Alla luce di quello che ho letto, non ci credo più (avete letto quella lettera straziante sulla “prigione dorata”?). Non so quale possa il modello migliore, ma dopo il Coronavirus anziani e vecchi vanno tolti, quanto più possibile, dalle RSA e re-inseriti in un contesto, anche assistito, di relazioni e affetti. Ne va della dignità di noi tutti.

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