Global City: la città del futuro in 4D

Global City: la città del futuro in 4D

Per salvare le città dalla seconda ondata di Coronavirus c’è bisogno di ripensarle in 3D? Può sembrare un paradosso, ma non lo è. Certo, qui non stiamo parlando di stampanti tridimensionali, che pure avranno un’importanza sempre maggiore nella realizzazione di spazi ed edifici. Si vuole piuttosto proporre un modello di riorganizzazione del tessuto urbano resiliente alla luce delle sfide poste dalla pandemia, che renda le aree metropolitane più salubri, efficienti e vivibili. In un recente seminario promosso da ISPI in occasione della Milano Digital Week , la professoressa Paola Pucci del Politecnico di Milano ha coniato una formula interessante imperniata su tre concetti fondamentali: distribuire, digitalizzare, desincronizzare. 3D. Alle quali se ne potrebbe aggiungere un quarto, assai discusso in queste settimane: decentrare.

Che cosa si intende con tutto ciò? E perché è importante parlarne all’indomani della prima ondata di pandemia?

 

Distribuire

Una delle principali sfide per le città in questa fase è la mobilità. Al momento, i flussi sono ancora assai ridotti per via dello smart working, che limita drasticamente il numero di lavoratori diretti ogni giorno in ufficio. Ma via via che le aziende ricominceranno a convocare i dipendenti, come evitare assembramenti pericolosi sui mezzi pubblici? E ancora: se le persone – come i primi dati paiono evidenziare – temessero la prossimità, e dunque ricorressero in abbondanza alla propria automobile, come impedire il congestionamento definitivo del traffico e il conseguente inquinamento atmosferico?

A questo quesito pressante prova in parte a rispondere la rinnovata distribuzione cittadina di spazi e funzioni. Innanzitutto, ampliando l’area pubblica riservata ai pedoni e alle altre forme di mobilità sostenibile. Ricordando la lezione di Jane Jacobs – il marciapiede come strumento essenziale di sicurezza e coesione comunitaria – viene ampliata la pertinenza rialzata a scapito della sezione carrabile. Le automobili sono costrette a procedere più lentamente, come già osserviamo nelle “zone 30” diffuse in ambito internazionale, o in esperimenti specifici quali i “Superblock” di Barcellona. Ciò favorisce le biciclette (cui se possibile è dedicata una corsia autonoma), i monopattini e ancora chi cammina. Ma soprattutto rende il transito più sicuro e meno inquinante. In teoria, questa redistribuzione dovrebbe anche favorire lo scambio umano e il piccolo commercio con il suo portato di tradizioni e cultura.  Ma per ottenere questo obiettivo – e ci torneremo più avanti – occorre anche spostare molte funzioni: non è pensabile mantenere i centri produttivi e direzionali della metropoli in un’unica zona – ovviamente lontana da raggiungere per gran parte delle persone – e poi auspicare un boom di pedoni e biciclette. La redistribuzione dello spazio deve accompagnarsi a quella policentrica delle funzioni, in modo da ridurre a monte gli spostamenti quotidiani.

 

Digitalizzare

Che lo sviluppo digitale e l’innovazione tecnologica siano un portato essenziale del Coronavirus è assodato. Le pubbliche amministrazioni, come pure le aziende private, hanno scoperto di poter contrarre i propri organici in sede grazie allo smart working, e al tempo stesso i cittadini hanno imparato e gestire molte delle proprie esigenze dal computer di casa. E in futuro tale meccanismo non potrà che aumentare, a partire dalle città storicamente più smart per finire con quelle che hanno ancora bisogno di un “salto” tecnologico più drastico. Nel complesso, si può affermare a questo proposito che l’esperimento durante il lockdown (diverso da paese a paese) abbia funzionato: le reti hanno sopportato il sovraccarico imprevisto e, nonostante le pesanti sacche di digital divide, il capitale umano, grazie all’informatizzazione accelerata di massa, è cresciuto a una velocità del tutto inimmaginabile prima della pandemia.

La sfida si sposta ora sul medio periodo: come potenziare i servizi essenziali grazie ai dati e alla tecnologia? La questione è prioritaria innanzitutto dal punto di vista sanitario. Nei prossimi mesi – anche nell’ottica del turismo – le varie aree metropolitane saranno giudicate sulla base della capacità di contenere il virus. I sistemi di test, trace and treat messi in campo dalle capitali del Sud-Est asiatico (Hong Kong, Seul, Singapore) dovranno diventare patrimonio delle altre regioni del mondo, sfruttando l’immensa mole di dati prodotta da ogni utente con lo smartphone. Ma questo investimento non potrà evidentemente fermarsi alla gestione dell’emergenza. Sarà infatti determinante per migliorare l’efficienza nei servizi locali – mobilità, raccolta e trattamento dei rifiuti, risparmio energetico – e per costruire una comunità più sostenibile. Infine, dovrà essere un’occasione di crescita economica a fronte della crisi prodotta dal COVID-19.

Come abbiamo scritto più volte, tutto ciò impone una grande attenzione alla privacy e agli altri diritti connessi alla gestione dei dati. In molte città europee – Barcellona, Amsterdam, Copenaghen – sforzi sono stati fatti nell’ottica dell’open source e del controllo pubblico delle piattaforme, ma è chiaro che su questo crinale si giocherà una partita decisiva nei prossimi anni, quella tra un modello centralizzato totalitario e uno orizzontale popolato da smart citizen.

 

Desincronizzare

Alla luce di ciò che abbiamo scritto, sarà fondamentale organizzare i flussi di merci e persone su base più razionale ed efficiente. Alcuni anni fa l’architetto Carlo Ratti – tanto per fare un esempio – studiò col suo Senseable Lab del MIT i movimenti dei taxi a Manhattan. Ne emerse un dato per certi aspetti prevedibile, ma in ogni caso scioccante: le autovetture girano quasi sempre vuote. Un elemento che si aggiunge a quanto già sappiamo a proposito delle macchine parcheggiate: le auto di proprietà stanno ferme per il 95% del tempo, con conseguenze evidenti per il decoro delle strade e per la disponibilità di parcheggi e spazi pubblici.

Tornando dunque alla mobilità e ai big data, dobbiamo immaginare un grande progresso non solo nella riparazione delle storture citate, ma nell’organizzazione di vita delle singole persone. Non un Grande Fratello, ma una libertà aumentata. Che bisogno abbiamo di uscire tutti alla stessa ora per infilarci tutti nello stesso vagone e magari accompagnare i bimbi tutti alla stessa entrata di scuola? Che bisogno abbiamo dell’ora di punta? Occorre un grande investimento in creatività, tecnologia e organizzazione per immaginare esistenze quanto più possibili taylor made, dove ognuno si sposti secondo le sue reali esigenze, i mezzi vengono usati in sharing e le grandi aziende/organizzazioni – anche le scuole – si impegnino a contribuire al bene comune con un’organizzazione rinnovata, efficiente e flessibile.

 

Decentrare

Il rapporto tra centro città, periferie e suburbi è oggetto di riflessione da molti decenni. Già alla fine dell’Ottocento gli urbanisti della “città-giardino”, al di là delle singole sfumature, immaginavano agglomerati urbani in cui i quartieri avessero precise dimensioni, popolazione, funzioni e aree verdi. Gli esiti di tale concezione sono stati alterni nelle diverse esperienze – dalle città industriali inglesi allo sprawl nordamericano a molti sobborghi dell’Europa continentale -, ma ciò che oggi interessa rilevare è la nuova attualità di tale dibattito. La densità urbana che fino a ieri era considerata sinonimo di sostenibilità si trova oggi nel mirino a causa del distanziamento sociale.

Non ci è dato sapere che evoluzione avrà questa pandemia e quali tracce lascerà alle sue spalle. Sta di fatto però che città quali Melbourne, Milano o Parigi stanno già progettando uno sviluppo policentrico della città legato ai “15 minuti” (nella capitale francese è stato appena nominato un assessore ad hoc con questa delega). Un modello in cui ogni quartiere tenda a una spiccata polifunzionalità e al mescolamento tra abitazioni, uffici e servizi. È decisamente presto per stabilire se tale organizzazione potrà prendere piede, e anche come ciò si concili con una visione unitaria dell’organismo urbano, che consenta alle grandi metropoli di esprimere a pieno le loro caratteristiche principali (privacy, varietà, condivisione), ma è chiaro che ciò che abbiamo vissuto impone un ripensamento in profondità delle nostre vite come pure delle strutture dove queste si svolgono.

In conclusione, non abbiamo a disposizione una stampante 3D che realizzi all’istante i nostri desideri. Il cambiamento sarà lento, difforme e complesso. Ma riflettere in anticipo sui grandi assi di trasformazione può aiutarci a evitare errori e problemi che pure non potranno mancare.

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