Qualche giorno fa due importanti dirigenti del Partito Democratico sono intervenuti per parlare di Roma. Monica Cirinnà ha annunciato la sua candidatura alle primarie del centro-sinistra, con una bella intervista su “Repubblica”.
Marco Miccoli, (ex segretario romano e ora in direzione nazionale del Pd), poche ore dopo ha invitato a rallentare e cercare un altro percorso, usando Facebook; Miccoli sostiene che le primarie si siano sempre svolte molto più a ridosso delle elezioni, e ora non serve correre: serve tempo per una candidatura condivisa e “alta”.
Non parlava però solo di questo: denunciava l’eccesso di personalismo di chi si candida ora alle primarie (tra cui il sottoscritto). Posizione legittima, ma con la quale non riesco a concordare. Peraltro, le primarie sono previste dallo Statuto del Pd. Sono le regole comuni e tutti dovremmo rispettarle.
Roma, per me, dovrebbe già essere il luogo delle primarie permanenti, purché questo significhi discutere – per mesi! – con la città. Una città che ha rifiutato in malo modo il centro-sinistra solo quattro anni fa. E no, non basta il malgoverno della Raggi a far ritrovare l’armonia fra centro-sinistra e popolo romano: serve un dialogo non reticente, serve sincerità su ciò di cui ha bisogno Roma e su ciò che realmente saremo in grado di fare nei prossimi cinque anni.
In una città disastrata, ma nella quale arriveranno i fondi destinati dal governo e dall’Europa alla ripresa, sui quali non possiamo sbagliare: non ripasserà presto un altro treno che ci permetterà di programmare e investire sul futuro. Roma può crescere anche con le sue forze, ma non viviamo in tempi normali: servono la politica e la programmazione strategica di lungo periodo.
E mi batterò affinché lo sviluppo della Capitale sia considerato una grande questione nazionale, prioritaria per tutte le istituzioni. Per questo sono candidato, da nativo Pd ma, come tanti, un po’ deluso: una scelta civica e popolare per fuggire dalle camarille di corrente e rivolgermi ai tanti che sono usciti da queste dinamiche. Parlo agli spiriti liberi che ancora ricordano l’esperienza Pd ma non più iscritti o direttamente coinvolti, e ancora a chi guarda a Italia Viva, ad Azione e anche Più Europa e Radicali. Tutte esperienze libere e innovatrici, indispensabili per una visione futura.
Vi prego, parliamo di Roma. Trasformiamo le primarie nel più grande dibattito pubblico sulla città di questi ultimi 20 anni; abbandoniamo le liturgie, i tatticismi, i giochetti – tu dai l’intervista, io rispondo su Facebook e ti placco; quell’altro fa uscire la velina su Sassoli che vuole fare il sindaco e allora Sassoli è costretto a rispondere a muso duro… non vi annoiate? – e trasformiamo le primarie nel dialogo che ricostruisce il rapporto fra Roma (la sua società civile, l’attivismo di base) e la classe dirigente progressista e riformista di questa città.
Se costruiamo le primarie come primarie delle idee, con mesi di discussione franca, sincera e nel merito, forse potremmo svolgere le migliori primarie della storia di Roma. Il gruppo dirigente del centro-sinistra di questa città ha troppo da farsi perdonare, non si rende conto del fatto che è considerato ancora parte del problema.
L’infima qualità del governo di Virginia Raggi sembra aver fatto dimenticare che solo quattro anni fa siamo stati subissati dai fischi e dalle pernacchie di quasi 800 mila romani, che pur di non rivedere il centro-sinistra al potere hanno votato Virginia Raggi (!).
Nel 2016 i romani si sono vendicati di quasi dieci anni di disagi, non volendo nemmeno distinguere fra noi e la destra tanto erano arrabbiati: si sono ricordati di quando fu mandata allo sbaraglio un’autorevole figura della città come Francesco Rutelli, nel 2008; si sono ricordati della finta opposizione di parte del gruppo dirigente alla Giunta Alemanno, quando non si disegnavano posti negli enti e nelle commissioni; non ha dimenticato il periodo di Ignazio Marino, in cui la sinistra era impegnata nelle sue guerre balcaniche, mentre fuori la crisi economica colpiva una città che non poteva affascinarsi alla pratica dei dossieraggi interni. Per non parlare dell’assurdo epilogo notarile di quella stagione. I romani si sono vendicati di noi attraverso la Raggi: va tenuto a mente.
Ieri “La Repubblica” riportava i dati di una ricerca commissionata dalla Coop sui cambiamenti dello stile di vita degli italiani in questa crisi del Covid-19. Vi riporto un passaggio lungo ma significativo:
“Il Paese rischia ancora di più di fermare il suo ricambio: il 36% dei giovani rinuncia all’idea pianificata di avere un figlio; nel 2021 potremmo perdere 30.000 nascite scendendo così sotto la soglia psicologica dei 400.000 nati in un anno e anticipando di quasi un decennio il ritmo della denatalità. Non è la sola rinuncia importante: matrimoni, trasferimenti, acquisti di case e aperture di nuove attività figurano tra i progetti rinviati o cancellati, e queste scelte di vita mancate hanno coinvolto in totale l′84% di italiani. Le disuguaglianze economiche viaggiano poi di pari passo con i disagi psichici e sociali a svantaggio delle fasce deboli: i ragazzi iperconnessi per i quali è maggiore il rischio hikikomori salgono nei primi sei mesi dell’anno di un +250% fino a toccare quota 1 milione, +119% le chiamate al numero antiviolenza di genere da marzo a giugno”.
Secondo voi Roma non sta subendo, in silenzio, gli stessi processi del resto del Paese, per di più partendo da una condizione già critica? Parliamo di questo: non è presto, è tardi. Parliamo con la città: avremmo dovuto cominciare il 20 giugno 2016. Romani e romane, scusate il ritardo: costruiremo insieme le primarie per parlare davvero di Roma e del suo futuro.