Biden vince in città. Ma anche il populismo nasce lì

Biden vince in città. Ma anche il populismo nasce lì

Joe Biden ha vinto, viva Joe Biden.

Ma dove ha vinto? Risposta: nelle città e nelle aree urbane. Questo dato è incontrovertibile: lo si evince osservando le varie mappe del voto americano, quelle per capirci in blu e rosso che ormai tutti ci siamo abituati a decifrare. Ma può essere ulteriormente approfondito: se guardiamo i singoli Stati dall’interno, scopriamo che anche negli Stati “blu” la maggior parte del territorio è “rosso”. Prendiamo la Georgia o la Pennsylvania, tanto per citare due Stati passati dai repubblicani ai democratici. Anche qui la maggioranza “geografica” è smaccatamente pro-Trump, mentre il peso maggiore delle aree urbane (Philadelphia e Atlanta) garantisce la vittoria al ticket Biden-Harris.

Obiezione: come possiamo parlare di “bolla urbana” di fronte a una maggioranza di quasi ottanta milioni di americani? Davvero una quantità così massiccia di elettori può essere considerata “radical chic”, “bo-bo” (bourgeois bohème), fighetta? Ovviamente no, ma la polarizzazione città-campagna – che non coincide con quella ricchi-poveri, ed è una divaricazione culturale più che reddituale – non va per questo negata di fronte all’evidenza.

Per questo provo ad avanzare tre ipotesi fondamentali: 1) l’urbanizzazione globale aumenta nel futuro dell’Occidente il peso politico delle metropoli; 2) la sinistra fatica a comprendere che un atteggiamento democratico non consiste nel solo rispetto del voto popolare, ma anche nella ricerca di una perequazione territoriale; 3) il populismo è un prodotto urbano che fa però breccia tra i “forgotten men” nelle aree peri-urbane e rurali.

Proviamo a vedere nel dettaglio, e in breve:

  1. È risaputo che la popolazione urbana cresce nel mondo a ritmo costante. Non sappiamo che conseguenze avrà il Covid-19 su questa dinamica, ma al momento possiamo constatare che, nonostante le città coprano soltanto il 2% della superficie terrestre, vi risiede il 55% dell’intera umanità, percentuale destinata secondo alcune stime a crescere fino al 70% nei prossimi dieci anni. Senza addentrarci in questioni teoriche (quale è la soglia minima per considerare una città? Qual è il suo confine?) possiamo tranquillamente affermare che il voto “progressista” ha nelle aree urbane il suo zoccolo duro. Pensiamo all’elezione di Trump nel 2016 o al referendum sulla Brexit, ma pure alle elezioni politiche del 2018 in Italia. I partiti di governo tengono nelle grandi città e vengono spazzati via nelle province più periferiche. In questo senso, l’urbanizzazione sembrerebbe giocare in Occidente a favore della sinistra.
  2. Dal punto di vista culturale, la sinistra si mostra tuttavia inadeguata. Di nuovo in questi giorni molti intellettuali liberal americani hanno ripetuto che nel voto popolare i democratici tendono a prevalere anche in caso di sconfitta, e che nei prossimi anni il partito repubblicano sarà sempre più in difficoltà di fronte all’aumento della popolazione cittadina. Ma questo modo di ragionare contraddice a mio giudizio l’essenza stessa della sinistra: se i valori di questo campo fanno riferimento all’eguaglianza, come si possono ignorare il disagio e la paura di coloro che occupano la parte più estesa del pianeta, ovvero di chi non vive in città? E poi, questo atteggiamento non è del tutto incompatibile con la sbandierata volontà di salvare il pianeta dalla catastrofe ecologica? Come si può pensare di ignorare le persone che materialmente si prendono cura del territorio non costruito? Paradossalmente, i padri costituenti americani paiono più democratici dei loro critici a sinistra: il principio (i principi) che garantisce due senatori a ogni Stato, indipendentemente dalla popolazione, impedisce che gli abitanti delle grandi conurbazioni costiere ignorino completamente le aspirazioni dei loro concittadini dell’entroterra, abbandonando con essi anche la gran parte del territorio americano.
  3. Abbiamo detto che nelle città si coagulano consensi e tendenze culturali più liberal. Ma c’è un paradosso: anche il populismo nasce in città. Donald Trump è di New York (al contrario di Joe Biden che è della provincia). Boris Johnson è stato sindaco di Londra. Matteo Salvini e Giorgia Meloni sono rispettivamente di Milano e di Roma. Persino, in altri sistemi politici, Recep Tayip Erdogan e Vladimir Putin sono “animali” urbani, oltre che alfieri di una forma non occidentale di populismo. Come racconta Antonio Scurati nella sua magistrale saga su Mussolini, anche il fascismo nasce a Milano prima di dilagare in provincia. Come è possibile questa apparente contraddizione? La mia ipotesi è che la cultura conservatrice subisca una mutazione a livello urbano proprio per la contiguità con la tendenza politica opposta. La “destra” perde in città il suo connotato di tradizione, famiglia, legalità, religione etc. E vira piuttosto verso una forma aggressiva che ha nel dileggio del “radical chic”, del “comunista col rolex” (cioè molto spesso del vicino di casa) il suo tratto distintivo. In altre parole, in città la destra assume un carattere più aggressivo e rifiuta quell’intermediazione tra leader e popolo che è propria della democrazia. Il rifiuto dei corpi intermedi si nutre della diffidenza verso una “società civile” urbana che è tutta ostile, progressista e dunque antagonista rispetto alla visione dell’uomo forte.

Se queste ipotesi, tutte da approfondire, fossero vere, alcune conseguenze discenderebbero sia per la destra sia per la sinistra, e non solo in America. Primo, le città saranno sempre più centrali nell’evoluzione politica internazionale; secondo, la sinistra potrebbe avvantaggiarsi di ciò, ma non può continuare a ignorare il contesto geografico più largo, rinunciando così alla sua “anima”, che dovrebbe invece reclamare l’emancipazione per ogni essere umano a prescindere dal luogo di nascita; infine, anche in città la destra ha mostrato una significativa capacità di elaborare e innovare il suo messaggio politico, e questa abilità non va sottovalutata: in città i conflitti si esaltano e le divisioni si esacerbano. Del resto, non sarà un caso che la parola “politica” deriva da “polis”, come a dire che non c’è politica senza città, ma anche che troppa urbanizzazione può portare all’eccesso conflittuale della politica che temiamo in queste ore.

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